Alimentazione

Acrilamide negli alimenti: un pericolo nascosto

Copertina - Acrilamide negli alimenti

I processi produttivi di molti alimenti che acquistiamo al supermercato o mangiamo fuori casa possono nascondere un pericolo per la salute di tutti. Vediamo di cosa si tratta e come si può evitare o prevenire tale rischio.

Cos’è l’acrilamide e come si forma

L’acrilamide è una sostanza con una struttura chimica molto semplice, composta da 10 atomi comprendenti Ossigeno (O), Carbonio (C), Idrogeno (H) e Azoto (N), che si riscontrano anche negli zuccheri e nelle proteine. Essa viene ampiamente utilizzata in diversi processi industriali per derivare addensanti impiegati nella produzione di carta, tessuti per pressa permanenti, coloranti, materie plastiche, e nel trattamento di acque bianche e acque reflue (inclusi i liquami), nella formulazione di pesticidi e nel recupero terziario del petrolio. I derivati dell’acrilamide si trovano anche in prodotti edilizi quali pitture e catrame, adesivi e imballaggi.

In ambito biologico e nella ricerca scientifica per lo studio delle proteine viene impiegato un gel idrosolubile a base di poliacrilamide, un polimero di acrilamide. La polvere di acrilamide è una potente neurotossina che può essere facilmente assorbita dalla cute. Una volta gelificata nel suo polimero, perde la pericolosità in quanto non più assorbibile; i ricercatori in ogni caso devono obbligatoriamente indossare guanti protettivi, occhiali e/o e mascherine adeguate per evitare di inalare la polvere prima della solubilizzazione.

Tuttavia, il fumo di sigaretta e alcuni alimenti rappresentano le principali fonti di esposizione all’acrilamide per la popolazione. L’acrilamide viene riscontrata maggiormente nei seguenti alimenti: patatine fritte e prodotti fritti confezionati (chips, tortillas di mais…), crackers, panificati, fette biscottate e biscotti, cereali, olive nere in barattolo di latta, succo alla prugna, caffè e prodotti tostati. I livelli di acrilamide nei cibi sono variabili e dipendono dal metodo di produzione, tempi e temperatura dei processi di cottura. I fumatori inoltre presentano livelli di acrilamide da 3 a 5 volte più alti rispetto ai non fumatori.

La presenza di acrilamide negli alimenti è stata segnalata per la prima volta dagli scienziati della Swedish National Food Authority e della University of Stockholm nell’aprile del 2002. Inizialmente i ricercatori hanno studiato l’esposizione degli operai nelle gallerie in seguito alla fuoriuscita accidentale di agenti per la stuccatura e la cementazione; tuttavia non riuscivano a capire per quale motivo i lavoratori non precedentemente esposti all’acrilamide (controlli) presentavano livelli di tale composto nel sangue. Questo dato ha spinto gli studiosi ad indagare le fonti di esposizione nelle attività di tutti i giorni e hanno scoperto che l’acrilamide si formava prontamente in alcuni alimenti ricchi in carboidrati mentre il suo contenuto è ridotto nei prodotti più ricchi di proteine come carne e pesce.

Tale composto non si trova naturalmente nei cibi ma può formarsi velocemente quando gli zuccheri e gli amminoacidi (i “mattoni” che costituiscono le proteine) reagiscono tra di loro in cibi ricchi di carboidrati e amidi durante il processo di cottura, se questo avviene temperature superiori a 120°C. Tra gli amminoacidi coinvolti, quello che gioca un ruolo fondamentale è l’asparagina, presente in molti vegetali amidacei, specialmente nelle patate. La reazione che porta alla formazione di acrilamide è nota come “Reazione di Maillard”, responsabile anche della crosticina croccante sulla carne grigliata, pane, pizza, patatine, verdure in pastella ecc. Più un cibo appare brunito, più acrilamide si sarà formata.

Se uno dei due componenti, o gli zuccheri o gli amminoacidi, viene a mancare l’acrilamide non si forma. Elevate quantità di acrilamide sono state riscontrate anche in preparati a base di patate e barbabietole, specialmente se vengono riscaldati: in questi due ortaggi infatti, i livelli di acrilamide sono influenzati dall’elevato contenuto di asparagina.

Quali sono i rischi per la nostra salute?

L’esposizione all’acrilamide dipende dalla combinazione di alimenti consumati nella dieta e la loro modalità di preparazione, abitudine al fumo e fumo passivo, fonti professionali. L’assorbimento cutaneo di acrilamide è basso poiché la pelle costituisce la nostra prima barriera contro i pericoli esterni. Al contrario, l’esposizione orale è la principale fonte di assunzione di acrilamide.

Sia nell’uomo sia negli animali infatti, dopo ingestione, l’acrilamide viene rapidamente assorbita nel tratto gastrointestinale e, attraverso i fluidi corporei, raggiunge tutti gli organi. I distretti corporei in cui si accumula maggiormente sono rene, fegato, sistema nervoso, sangue e testicoli. Può addirittura attraversare la placenta ed è presente in tracce nel latte materno.

Uno dei principali metaboliti che si formano nel corpo è la glicidamide, una molecola che è in grado di legarsi al DNA o alle proteine come l’emoglobina nei globuli rossi. Acrilamide e glicidamide agiscono attraverso la formazione di radicali liberi, responsabili dello stress ossidativo nelle nostre cellule. Diversi studi hanno osservato che entrambi questi composti sono tossine pericolose per il sistema nervoso. La neurotossicità nell’uomo è associata principalmente al rischio occupazionale piuttosto che alla dieta e clinicamente si manifesta attraverso neuropatia periferica, sensazione di intorpidimento, debolezza muscolare e difficoltà di movimento.

L’esposizione degli animali di laboratorio a dosi elevate di acrilamide e glicidamide, somministrate per via orale nell’acqua potabile, ha effetti genotossici e cancerogeni, ovvero provoca danni al DNA, causando l’insorgenza di tumori in diversi organi (cervello, mammella, utero, testicoli, reni, pelle, stomaco, ghiandole endocrine…); altri effetti nocivi sono a carico dello sviluppo pre- e post-natale, oltre ad influenzare negativamente la funzionalità del sistema riproduttivo maschile.

Gli studi condotti sull’uomo sono ancora pochi per trarre conclusioni definitive e i risultati ottenuti forniscono solamente prove limitate per quanto riguarda il rischio di sviluppare neoplasie in seguito all’assunzione di acrilamide attraverso la dieta. A seguito della scoperta di acrilamide nei cibi cotti, nel 2007 iniziò la prima campagna di monitoraggio degli alimenti, con la Raccomandazione 2007/331/CE della Commissione EUROPEA e la pubblicazione di Linee Guida per ridurre il contenuto di acrilamide negli alimenti trasformati.

Seguirono poi le Raccomandazioni dell’Unione Europea 2010/307/UE e 2013/647/UE. Nel giugno del 2015 l’EFSA, Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, ha pubblicato un rapporto in cui valuta i rischi correlati alla presenza di acrilamide e glicidamide negli alimenti amidacei e ricchi in carboidrati, indicando la necessità di tenerne sotto controllo il consumo. Gli esperti del gruppo scientifico dell’EFSA hanno riconfermato le valutazioni effettuate negli anni precedenti dal comitato di esperti sugli additivi alimentari dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) secondo le quali l’acrilamide assunta con la dieta aumenta il rischio di mutazioni genetiche e, di conseguenza, dell’insorgenza di tumori in tutte le fasce d’età. L’EFSA ribadisce inoltre la necessità di effettuare un numero più elevato di studi e ricerche sugli esseri umani per identificarne la tossicologia, l’esposizione e la formazione.

Infine, a novembre del 2017, la Commissione Europea ha annunciato il Regolamento 2017/2158/UE che istituisce misure di attenuazione e livelli di riferimento per la riduzione di acrilamide negli alimenti, applicato a partire dall’11 aprile 2018 (Tabella 1) e obbligatorio per le industrie alimentari. Essendo l’acrilamide una sostanza potenzialmente cancerogena, non è possibile stabilirne la dose tossica in quanto, teoricamente, basterebbe anche una sola molecola per innescare una serie di eventi che portano allo sviluppo di un tumore in individui maggiormente predisposti. L’unico principio tossicologico attualmente applicabile si basa sulla riduzione di acrilamide ai minimi livelli possibili.

Dosi basse difficilmente possono arrecare danni alla salute in quanto l’acrilamide viene eliminata attraverso l’urina e le feci. Tuttavia, più alimenti a rischio si consumano, più la probabilità che l’acrilamide diventi pericolosa aumenta. Per questo motivo gli esperti dell’EFSA hanno stimato un margine di esposizione (MOE), sopra il quale l’acrilamide può causare una lieve ma misurabile incidenza di neoplasie e altri effetti avversi sull’uomo. Il MOE fornisce quindi un’indicazione del livello di allarme. Questo valore è definito come “limite inferiore dell’intervallo di confidenza relativo alla dose di riferimento” o BDML10; per il rischio neoplastico, questo valore non deve superare 0,17mg/kg di peso corporeo al giorno mentre, per evitare effetti neurotossici non deve superare 0,43mg/kg di peso corporeo al giorno.

Come evitare o limitare il consumo di acrilamide

Dal momento che è presente in moltissimi alimenti e si forma con le alte temperature, oltre ad essere impiegata in alcuni processi industriali, non è possibile eliminare del tutto l’acrilamide ma si possono adottare alcuni semplici accorgimenti per ridurla a livelli accettabili.

  1. Il consiglio più importante e valido per tutti gli aspetti della nostra vita quotidiana è quello di mantenere una dieta variegata ed equilibrata, aumentando il consumo di quei cibi non a rischio ovvero frutta, verdura, carne e pesce, e diminuendo invece le quantità di snack e cibi lavorati e confezionati, soprattutto se fritti o cotti a temperature elevate.
  2. Per quanto riguarda i cibi ad elevato contenuto di carboidrati ed amidi, è consigliabile optare per metodi di cottura quali il vapore, la lessatura o il bagnomaria che non porta alla formazione della “crosticina” bruna.
  3. L’acrilamide si forma solo sulla superficie degli alimenti un po’ “bruciacchiati”. Quando si cucinano alimenti a rischio in padella o in forno, basta preparare pezzi più grandi per ridurre la percentuale di acrilamide a parità di peso di alimento mangiato. Se mangiando la pizza o cibi grigliati notate delle parti palesemente bruciate, eliminatele perché sono i punti di maggior concentrazione di acrilamide.
  4. I cibi già cotti non vanno cotti una seconda volta; per riscaldarli optare per il microonde che non alza eccessivamente le temperature.
  5. Nella preparazione casalinga di prodotti da forno usare meno zuccheri possibili (zucchero, miele e fruttosio) e preferire la lievitazione naturale in quanto il lievito ha la capacità di abbassare il pH dell’impasto, limitando la formazione di acrilamide.
  6. Dal momento che le patate sono tra gli alimenti più ricchi in zuccheri e asparagina, si sconsiglia la loro conservazione in frigo poiché favorirebbe una maggior liberazione di glucosio pronto a reagire con l’asparagina con conseguente formazione di acrilamide durante la cottura. Le patate vanno conservate a temperatura ambiente, al buio, evitando di farle germogliare.
  7. Friggere le patate rappresenta una cottura ottimale per preservare la Vitamina C, abbondante in questo ortaggio. Basti pensare che 100g di patate crude contengono circa 30mg di Vitamina C che, dopo la frittura, si mantiene attiva fino all’80%; un simile quantitativo lo si può riscontrare in una grossa mela fresca. Tuttavia, un’attenzione particolare va posta all’olio di frittura: non va riutilizzato, specie se qualche alimento vi è rimasto troppo immerso; inoltre, il punto di fumo non deve mai essere superato. Per le fritture è meglio evitare il burro o altri grassi caratterizzati da un basso punto di fumo; i migliori oli per fritture sono l’olio di oliva, di cocco e di arachidi con un punto di fumo molto alto.
  8. Diminuire la temperatura di cottura e frittura al di sotto dei 170°C, interrompendo il processo alla comparsa di una leggera doratura invece della colorazione bruna, consente una riduzione dell’acrilamide di quasi il 90% rispetto ai metodi di preparazione convenzionali.
  9. Il caffè ed i suoi succedanei, a causa della torrefazione, contengono livelli di acrilamide più elevati rispetto ad altri alimenti; non dobbiamo privarcene, è sufficiente limitarne il consumo, optando per miscele più dolci e alternando l’assunzione di caffeina tramite ad esempio il tè.

Vitamine, antiossidanti e composti naturali rappresentano un valido aiuto per diminuire la percentuale di acrilamide

I radicali liberi, che si formano in seguito all’assunzione di tossine ambientali ed alimentari come l’acrilamide, sono responsabili dello stress ossidativo che è alla base dell’insorgenza di patologie croniche, metaboliche e neoplastiche. Gli antiossidanti sono sostanze in grado di inibire la formazione dei radicali liberi nel cibo e contribuiscono all’eliminazione degli stessi all’interno del nostro corpo, detossificandoci.

Come già accennato al punto 5, la diminuzione del pH durante la lievitazione dei prodotti da forno consente di limitare la formazione di acrilamide in cottura. Per fare ciò, oltre al lievito è possibile utilizzare il bicarbonato come agente lievitanti; oppure, l’aggiunta di acidi organici quali l’acido citrico ottenuto spremendo il limone e l’acido acetico contenuto nell’aceto consentono di ridurre i livelli di acrilamide anche del 60%. Ovviamente, avendo questi composti un gusto amaro, è necessario dosarli attentamente per non compromettere l’accettabilità sensoriale del prodotto finale.

Alcuni studi scientifici hanno inoltre valutato l’efficacia dell’aggiunta di estratti di tè verde nella panatura di prodotti fritti a 175°C come le ali e le cosce di pollo, le cotolette e le patatine. L’estratto di tè verde inoltre non altera il gusto della pietanza. Ad interferire con la formazione di acrilamide sono alcuni flavonoidi ad azione antiossidante contenuta nelle foglie di tè ed in particolare epicatechina ed epigallocatechina.

Oltre al tè verde, altri estratti acquosi ottenuti da piante aromatiche quali l’origano selvatico, il timo, il rosmarino o da piante fiorite come la bouganville o spezie come la cannella contribuiscono a ridurre i livelli di acrilamide durante la cottura fino al 62%. Il procedimento per preparare gli estratti acquosi di tali piante è semplice e numerose sono le ricette reperibili sul web; si tratta infatti di effettuare delle infusioni, come per le tisane. Una volta ottenuto l’estratto, affinché si esplichi l’effetto anti-acrilamide, è necessario immergervi l’alimento da cuocere o friggere per qualche minuto.

Un altro utile accorgimento nella preparazione di cibi fritti, specialmente le chips di patate e le tortillas, consiste nell’uso di olio contenente peperoncino che inibisce la formazione di acrilamide fino al 77% e allo stesso tempo conferisce un gusto piacevolmente piccante alle nostre pietanze. Anche le vitamine, quali la vitamina A, B6, C, D, E, H (o Biotina), e alcuni minerali come zinco e selenio riducono del 50% la formazione del pericoloso composto. Infine, la curcuma, così come il ginseng, lo zenzero ed il cardamomo possiedono virtù antiossidanti molto potenti in grado di contrastare la formazione di radicali liberi, proteggendo in particolar modo il tratto digerente, più soggetto allo stress ossidativo attraverso l’ingestione di tossine alimentari come appunto l’acrilamide. Tali spezie posseggono un sapore molto gradevole per cui è sufficiente aggiungerle ogni giorno alle pietanze che prepariamo per proteggerci da molti nemici invisibili.

Tabella 1. Livelli di riferimento per il contenuto di acrilamide negli alimenti 2017/2158.

Tabella 1. Livelli di riferimento per il contenuto di acrilammide negli alimenti 2017/2158.

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