Alimentazione

Microplastiche: un pericolo invisibile che viaggia per mari e fiumi fino alle nostre tavole

Copertina - Microplastiche

Dalla Seconda Guerra Mondiale, la produzione e l’uso della plastica hanno avuto un aumento esponenziale; la plastica infatti, è un materiale che riveste un’importanza fondamentale nella nostra economia e semplifica le attività di ogni giorno grazie alla sua leggerezza e al suo costo basso.

I materiali plastici si trovano praticamente ovunque: negli involucri e nelle confezioni alimentari, nei più svariati contenitori per bevande, nei giocattoli, nelle componenti delle auto, nei contenitori per cosmetici e nei cosmetici stessi. L’onnipresenza della plastica passa però inosservata, non ci facciamo caso e quasi ce ne dimentichiamo. Dagli anni ’60 la produzione di plastica è aumentata di circa il 9% all’anno creando un’industria globale da 600 miliardi di dollari.

Secondo uno studio del 2017 pubblicato sulla rivista Environmental Science & Technology, solo nel 2015 sono state prodotte circa 320 milioni di tonnellate di plastica, la maggior parte della quale destinata al monouso e quindi smaltita anziché incenerita o riciclata. Ma questa plastica rimane nell’ambiente per secoli.

Si stima che circa 8 milioni di tonnellate di plastica finiscono nei mari e negli oceani ogni anno, rilasciando miliardi di particelle microscopiche che viaggiano nelle acque superficiali oceaniche. L’entrata di molte materie plastiche negli oceani è favorita dalle operazioni marittime ma l’80% di tale materiale proviene purtroppo da fonti terrestri. La plastica di scarto arriva così all’acqua salata sottoforma di spazzatura, scarichi e/o scarti industriali attraverso le correnti dei grandi fiumi e corsi d’acqua, fuoriuscite (accidentali e non) di acque reflue o trasportata dal vento e dalle maree.

La produzione e la dispersione di rifiuti sono intrinsecamente correlate e proporzionalmente associate allo sviluppo economico, alle infrastrutture locali e alla legislazione a riguardo. Oggi, i rifiuti non raccolti e non smaltiti rappresentano circa il 75% degli scarichi terrestri mentre il restante 25% proviene dai sistemi di gestione dei rifiuti.

Cosa sono le microplastiche, come si formano e dove si trovano

Recentemente, la scoperta delle microplastiche (MP) ha sollevato molte preoccupazioni tra gli scienziati ed i ricercatori. Le MP sono definite come particelle di plastica con dimensioni inferiori a 5.0 mm le quali, anche se sono invisibili (o quasi) ad occhio nudo, a differenza delle bottiglie di plastica abbandonate sulle spiagge di tutto il mondo, costituiscono il 94% dei circa 1,8 trilioni (=1.800 miliardi!) di pezzi di plastica che compongono il “Plastic Patch” dell’Oceano Pacifico; le MP inoltre sono state riscontrate in tutte le forme di vita marine, dallo zooplancton alle balene. Tra le MP rientrano anche quei frammenti >1µm. Tale definizione è in accordo con la US National Oceanic and Atmosheric Administration (NOAA).

Il Plastic Patch o Great Pacific Plastic Patch, conosciuto anche come “isola di plastica del Pacifico”, è la più estesa area di spazzatura galleggiante al mondo situata tra la California e le Hawaii e contenente rifiuti plastici che vanno da teloni di plastica per serre e camion, bottiglie e contenitori di vario tipo, giocattoli, scarti di componenti di elettronica, reti da pesca, sacchi e molto altro.

Questa massa abnorme ha raggiunto le 80.000 tonnellate di peso e, secondo uno studio pubblicato a marzo del 2018 sulla rivista Scientific Reports, la sua area è pari a circa 1,6 milioni di km2, 16 volte più grande di quanto registrata precedentemente attraverso la sorveglianza aerea e navale, 4 volte più grande della California e 3 volte la Francia. Di isole di plastica ce ne sono altre 6: l’isola del Pacifico meridionale, grande 8 volte l’Italia, quella dell’Atlantico settentrionale di dimensioni simili, quella “più piccola” dell’Atlantico meridionale di 1milione di km2, e quelle dell’Oceano Indiano e del mare di Barents di più recente formazione e scoperta.

Il grado di degradazione della plastica dipende da diversi fattori quali: il tipo di polimero; il tempo in cui permane nell’ambiente; le condizioni ambientali con gli agenti atmosferici; la temperatura; i raggi solari ed il pH e la lenta degradazione operata da alcuni microorganismi. Con il trascorrere del tempo, le MP contaminano l’ecosistema marino e di conseguenza la catena alimentare, compresi i prodotti destinati al consumo umano. Nella Figura 1a e 1b viene messa a confronto la densità (in Kg/Km2) del plastic patch del 1962 con quella del 2018.

Attualmente, questa forma di inquinamento prevede la classificazione delle MP in primarie e secondarie. Le MP primarie sono plastiche specificamente prodotte dall’industria come componenti di molti oggetti e/o prodotti di uso comune. Un esempio sono le microperle e i granuli, o “scrubber” esfolianti presenti in molti detergenti e cosmetici per il viso e per il corpo o nei dentifrici che hanno sostituito gli ingredienti naturali e non inquinanti come mandorle tritate, farina d’avena, zucchero, pomice.

Queste MP sono in genere composte da polietilene (PE), polipropilene (PP), polietilene tereftalato (PET) e nylon e,dopo l’uso, vengono immediatamente lavate nel sistema fognario. A causa delle loro ridotte dimensioni, non vengono trattenute dai vari filtri per il trattamento preliminare delle acque di scarico e arrivano nei corsi d’acqua e negli oceani.

Densità della microplastiche negli oceani nel 1962

Densità della microplastiche negli oceani nel 1962

Densità della microplastiche negli oceani nel 2018

Densità della microplastiche negli oceani nel 2018

 

Gli impianti di trattamento delle acque reflue rimuovono tra il 95-99,9% di microsfere lasciando passare una media di circa 7 microsfere per litro di acqua scaricata. Sembra un numero trascurabile ma un impianto di trattamento scarica circa 160 trilioni di litri di acqua al giorno, con un conseguente rilascio giornaliero di circa 8 trilioni di microsfere nei corsi d’acqua.

Ogni nucleo famigliare contribuisce al rilascio di circa 808 miliardi di granuli in un solo giorno a causa dell’esfoliazione cosmetica e pulizia della persona. Molte aziende si stanno impegnando ad eliminare gradualmente le microsfere dai loro prodotti, prediligendo il ritorno agli scrub di origine naturale, ma diversi studi hanno rilevato che esistono ancora sul mercato almeno 80 diversi prodotti per il viso contenenti MP primarie tra i principali componenti.

Questi dati però non tengono conto dei fanghi di depurazione che vengono riutilizzati come fertilizzante dopo il trattamento delle acque reflue contenenti microplastiche che verranno così diffuse nel terreno. Alcune MP primarie in acrilico, melammina o poliestere vengono prodotte per effettuare la sabbiatura di motori e scafi di imbarcazioni per rimuovere la vernice vecchia, la ruggine o le incrostazioni.
In tal caso, queste MP diventano più pericolose poiché vengono ripetutamente utilizzate finché non si riducono eccessivamente perdendo la loro capacità abrasiva e nel tempo raccolgono ed incorporano metalli pesanti quali cadmio, piombo e cromo che causano severe intossicazioni (e alcuni di essi sono cancerogeni). Le MP secondarie invece entrano e si diffondono nell’ambiente, sia in mare sia in terraferma, tramite la frammentazione e la degradazione di oggetti o pezzi di plastica più grandi in seguito all’esposizione alla luce UV, congelamento, vento, moto ondoso ed abrasione data dalle onde e dall’acqua di mare.

Nel tempo, le MP secondarie possono ulteriormente ridursi fino a pochi micrometri: la particella più piccola attualmente rilevata è infatti di 1,5 µm. Un’altra fonte non trascurabile di inquinamento da MP secondarie deriva dalla rottura delle fibre sintetiche, come pile, poliestere, nylon ed acrilici, che possono essere eliminate dagli indumenti e dispersi nell’ambiente attraverso le acque di scarico delle lavatrici domestiche e industriali alla fine di ogni lavaggio.

Ogni capo in un carico di bucato può perdere fino a 1900 fibre di MP, nonostante i filtri delle lavatrici siano in grado di trattenerne una certa quantità. Infatti, uno studio condotto dall’Università di Parigi Est e pubblicato nel 2016 sulla rivista Marine Pollution Bulletin, ha dimostrato che ogni anno finiscono nell’aria di città tra le 3 e le 10 tonnellate solo di fibre sintetiche. Nell’aria cittadina si aggiungono inoltre le MP che si formano dalla polvere di stirene-butandiene a causa dell’usura degli pneumatici e finiscono negli scarichi e nei corsi d’acqua fino ai mari.

Ogni 100km percorsi, automobili e camion ne rilasciano più di 20g di MP ciascuno con un’emissione annua stimata per veicolo tra 0,23-4,7kg. Anche l’attività di pesca, ricreativa e commerciale, il trasporto marittimo e le industrie su piattaforme marine contribuiscono al rilascio di grossi quantitativi di plastica in mare, danneggiando pesantemente l’ecosistema marino.

L’attrezzatura da pesca, scartata o persa, come ad esempio la plastica a monofilamento delle lenze e le reti di nylon, galleggiano ed oscillano a profondità variabili costituendo trappole mortali per tutti gli organismi marini. Nel marzo del 2013 ha destato scalpore il ritrovamento di una balena di 10 metri morta sulle spiagge Spagnole tra la provincia di Almerìa e Granada, anche se non è l’unico caso di cronaca di questo tipo: ogni anno più di 1 milione di uccelli e circa 100.000 mammiferi marini muoiono a causa dei rifiuti di plastica che viaggiano negli oceani.

Secondo la necroscopia eseguita dai veterinari, il decesso è stato causato da una grave insufficienza intestinale provocata dall’ingestione di quasi 20 kg di plastica ritrovati nello stomaco dell’animale. Tali rifiuti sono stati analizzati e, oltre a frammenti di plastica di varie dimensioni (tra cui anche le MP), sono stati rinvenuti dei teloni di plastica recanti la loro provenienza: le serre dell’Almeria, meglio conosciute anche come “Mar de Plastico”, il cuore nero dell’Europa.

Queste serre agricole, visibili anche dallo spazio, si estendono lungo le coste andaluse coprendo, in modo uniforme e cangiante, una superficie di oltre 26.000 ettari. Dal 1980, all’interno di queste serre, vengono prodotte intensivamente la maggior parte della frutta e della verdura che arriva sulle tavole di tutta l’Europa, con un fatturato di 1,5 miliardi/anno. Recentemente si è affermata anche la coltivazione biologica ed integrata per soddisfare le richieste dei consumatori. Il Mar de Plastico inizialmente ha risollevato l’economia della zona ma le conseguenze sono state disastrose: non solo la terra è stata sfruttata causando un vero e proprio ecocidio, ma anche persone, i migranti che, venendo in Europa hanno trovato qui un inferno.

Una situazione scandalosa, più volte denunciata da giornali e media sia spagnoli sia esteri (tra cui anche una puntata di Report e Presa Diretta nel 2018): i lavoratori non hanno un contratto stabile, né garanzie e copertura assicurativa e sanitaria, sottopagati e costretti a lavorare all’interno delle serre dove la temperatura può raggiungere anche i 45°C.

A peggiorare questo quadro vi è poi il problema della plastica che ha incorporato i pesticidi e i prodotti utilizzati per il trattamento delle piante: spesso si alza infatti un forte vento caldo che strappa i teli e li trasporta verso il mare; una volta arrivati in acqua viaggiano per anni trasportati dalle correnti divenendo una trappola per gli organismi marini e formando lentamente le MP che si diffondono in maniera più ampia e, soprattutto, invisibile. La Figura 2 mostra l’impressionante distesa del Mar de Plastico.

Oggi il Mar Mediterraneo, il Mare Nostrum caro agli antichi Romani, sta diventando letteralmente un mare di plastica in cui ogni giorno arrivano circa 700 tonnellate di rifiuti di cui le MP costituiscono il problema, paradossalmente, più “grosso” proprio a causa delle loro ridotte dimensioni e quindi della loro ubiquità. In alcuni punti, la concentrazione di MP è addirittura la più alta nel mondo proprio perché il Mediterraneo è un mare chiuso e ogni particella potrebbe avere un tempo di permanenza di quasi mille anni. Un altro problema è rappresentato dal fatto che in esso sfociano 2 fiumi molto inquinati, il Po e il Danubio.

Integrazione delle MP negli organismi marini e nella catena alimentare

Un rapporto delle Nazioni Unite (UN) del 2016 ha documentato oltre 800 specie animali contaminate da plastica tramite ingestione, respirazione o intrappolamento: di queste 800, 220 specie hanno ingerito grossi quantitativi di MP presenti in natura.

L’ingestione di particelle di MP è stata riscontrata in tutte le specie di organismi marini: mammiferi, pesci, molluschi ed anellidi, crostacei, invertebrati e uccelli che si nutrono di pesce. Le MP si concentrano principalmente nel tratto digestivo e lì vi permangono per molto tempo, a volte anche per tutto il ciclo vitale dell’animale dove, una volta degradate in frammenti ancora più piccoli, traslocano nel sistema circolatorio e nei tessuti circostanti.

Per il consumo di pesci o crostacei di grandi dimensioni, l’eliminazione delle interiora contribuisce alla riduzione di MP consumate mentre negli animali di piccole dimensioni spesso l’apparato digestivo non viene rimosso costituendo un pericolo per i consumatori finali. In molti anellidi (vermi marini), granchi e cetrioli di mare sono stati riscontrati più di 520 particelle microplastiche di PVC (Poli Vinil Cloruro) e filo di nylon, polietilene ad alta e bassa densità (HDPE e LDPE rispettivamente) e PP per organismo analizzato.

Queste sostanze si trovano comunemente nei sacchetti di plastica, nei contenitori per alimenti, nei tappi di bottiglia e in diversi involucri, teloni e taniche. Sono state riscontrate MP anche nei coralli, i principali costituenti della meravigliosa barriera corallina: le MP aderiscono alla struttura del corallo impedendo la normale attività di filtrazione e causando il loro sbiancamento e conseguente mortalità. Anche lo zooplankton ingerisce MP ed espelle feci contaminate da esse; lo zooplankton ingerisce volontariamente le MP in quanto queste particelle emettono sostanze molto simili al fitoplankton di cui lo zooplankton si nutre.

Le MP inoltre si attaccano alle appendici e all’esoscheletro di questi organismi. In un animale, la digestione impiega al massimo 2 giorni mentre per eliminare le MP servono circa 14 giorni; tuttavia, se le MP si impigliano nelle branchie non vengono del tutto eliminate. Quando un animale che ha ingerito MP viene mangiato dal suo predatore, le MP vengono incorporate in questo livello superiore della catena alimentare.

Ad esempio, i ricercatori hanno registrato elevati quantitativi di MP nei piccoli pesci lanterna che sono tra le prede principali di pesci pregiati quali il tonno ed il pesce spada. Le MP, per la loro conformazione e struttura chimica dei componenti, sono in grado di assorbire inquinanti e sostanze chimiche che si trasferiscono ai tessuti degli organismi. Infine, l’ingestione di plastica e MP mette a repentaglio la vita degli organismi marini a causa della falsa sensazione di sazietà, con conseguente riduzione dell’apporto di cibo e nutrienti, oltre ai danni fisici causati da questi materiali.

Anche i pesci d’acqua dolce non si salvano dalle MP; uno studio condotto sulla costa argentina, lungo l’estuario del Rio de la Plata, ha riscontrato la presenza di MP nelle viscere di 11 specie di pesci con 4 diverse abitudini alimentari: detritivori (ovvero si cibano di sostanze organiche che si depositano sul fondale, noti come pesci “spazzini”), planktivori (si cibano di plankton), onnivori (come noi umani, si nutrono di un’ampia varietà di alimenti) e ittiofagi (si cibano di altri pesci).

 La plastica che mangiamo e l’impatto sulla nostra salute

Il pesce costituisce una significativa fonte di proteine per l’essere umano. Dal 2015, l’assunzione globale di pesce rappresentava quasi il 7% di tutte le proteine consumate e circa il 17% del consumo di proteine animali. Il consumo globale di mitili (molluschi) pro capite supera i 20 kg/anno.

Il commercio mondiale di prodotti ittici nel solo 2016 è stato di quasi 133 miliardi di $ con oltre il 90% dei prodotti importati da aree geografiche con elevata quantità di rifiuti plastici. Le MP ingerite dagli organismi marini possono pertanto arrivare sulle nostre tavole, alla fine della catena alimentare. La State University di New York ha condotto uno studio in cui ha campionato 18 specie di pesci: tutte hanno mostrato elevati livelli di MP nei loro apparati.

Tali fibre plastiche, mentre si trovavano in acqua, si sono chimicamente associate a metalli, policlorobifenili e altre sostanze tossiche (insetticidi, pesticidi, diserbanti…). Il complesso MP-metalli-inquinanti può pertanto entrare all’interno del nostro corpo tramite la dieta, ponendo un problema emergente in materia di sicurezza alimentare. Una particella di plastica di 150 µm (0,15mm) può entrare all’interno del nostro corpo senza problemi e, dal tratto gastrointestinale può raggiungere il sistema circolatorio e linfatico ed accumularsi in organi secondari quali polmoni, fegato, cistifellea.

Gli studi fino ad ora condotti non sono molti in quanto non si può chiedere alle persone di ingerire microplastiche volontariamente ma i ricercatori hanno osservato che i plastificanti delle MP causano anomalie di crescita, interferenze con il sistema endocrino e problemi riproduttivi negli animali di laboratorio: questi effetti sono associati all’esposizione agli ftalati, impiegati per conferire maggiore flessibilità e modellabilità alla plastica.

Un’altra sostanza ampiamente riscontrata nelle MP è il Bisfenolo A (BPA), prodotto e utilizzato sin dagli anni ’60 nella produzione di plastiche in policarbonato per conferire trasparenza, resistenza termica e meccanica. Lo si trova nei recipienti ad uso alimentare e nelle resine che compongono il rivestimento protettivo interno nelle lattine per alimenti e bevande. Il BPA è stato riconosciuto come interferente endocrino, ovvero è in grado di alterare l’equilibrio ormonale, soprattutto durante le fasi di sviluppo intrauterino e nella prima infanzia, creando a lungo termine danni ai sistemi riproduttivo, nervoso ed immunitario. Tali evidenze sono state riconosciute nel 2014 e nel 2017 dall’agenzia per le sostanze chimiche ECHA (European Chemicals Ahency).

L’aumento del rischio di obesità e di tumore al seno sono altri effetti particolarmente preoccupanti in quanto la popolazione è costantemente esposta al BPA, dimostrato anche in Italia dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS), nell’ambito del progetto PREVIENI sul biomonitoraggio degli interferenti endocrini.

Il BPA può infatti passare in piccole quantità dai recipienti che lo contengono ai cibi e alle bevande, specie se ad alte temperature. Dal 2009 il BPA è stato inserito nell’elenco delle sostanze vietate nei cosmetici (Regolamento CE 1223/2009) e, nel 2011, nella fabbricazione dei biberon per lattanti (Regolamento UE 321/2011). Inoltre, nel 2015 l’autorità europea per la sicurezza ambientale EFSA (European Food Safety Agency) ha pubblicato una valutazione molto dettagliata sull’esposizione al BPA.

Un altro componente pericoloso delle MP è il Tetrabromobisfenolo A (TBBPA), un ritardante di fiamma derivato dal BPA e utilizzato per aumentare la resistenza termica della plastica. È Stato dimostrato che il TDBBPA interferisce con la normale attività degli ormoni tiroidei, dell’ipofisi e dell’apparato riproduttivo. Altre sostanze aggiunte alle MP sono collegate a potenziali effetti dannosi sulla salute come ad esempio gli agenti coloranti che spesso contengono metalli pesanti. Le MP possono inoltre raccogliere microrganismi patogeni ed inquinanti dall’aria, dall’acqua e dal terreno e, tramite ingestione causare infezioni del tratto respiratorio e gastrointestinale, specialmente in persone con un sistema immunitario debole.

Le MP però non si trovano solo nei pesci, nei molluschi e nei crostacei ma anche nel sale da cucina. I ricercatori dell’Università di Shanghai hanno condotto una ricerca su vasta scala per poter analizzare più campioni di sale proveniente da diverse aree geografiche.

Lo studio, pubblicato nel 2015 sulla rivista Scientific Reports ha analizzato campioni di sale marino, di miniera e di lago di diverse marche: su 36 campioni analizzati, il 90% è contaminata da microplastica costituita da PE, PP e PET, la plastica più comunemente impiegata per produrre gli imballaggi monouso e le posate usa e getta. I campioni provenienti dall’Asia hanno registrato i livelli medi di contaminazione più alti, con oltre 13.000 particelle di MP in un solo campione proveniente dall’Indonesia.

L’Asia infatti è il continente che più soffre dell’inquinamento da MP, con i suoi 54.720 km di costa. Sono stati analizzati i Sali di 21 paesi di Europa, Nord e Sud America, Africa e Asia e i prodotti che non contenevano MP sono 3 e provengono da Taiwan (sale marino raffinato), Cina (sale grosso raffinato) e Francia (sale marino non raffinato ottenuto con evaporazione solare). Gli altri due tipi di sale, quello di laghi salati e quello di miniera contengono meno MP.

In conclusione, considerando l’assunzione media giornaliera tra 5 e 10 grammi, un adulto potrebbe ingerire, con il solo consumo di sale, fino a 2.000 frammenti di MP all’anno. Uno studio tedesco del 2015 pubblicato sul Polish Journal of Food and Nutrition Sciences, ha evidenziato che anche il miele risulta contaminato da MP con una media di 200 particelle circa per kg: si tratta di frammenti di fibre tessili sintetiche, frammenti di rifiuti degradati e granuli cosmetici ed industriali; tali sostanze possono essere state trasportate dalle api o essersi depositate sui fiori.

Nel 2014, sempre gli stessi ricercatori tedeschi (rivista Food Additives & Contaminants: Part A) hanno osservato che anche la birra si è rivelata inquinata da MP. Sono stati infatti trovate fibre (2-79/litro), frammenti (12-109/litro) e granuli (2-66/litro) di plastica su tutte e 24 le birre analizzate. Come sia avvenuta la contaminazione non è nota: gli studiosi hanno ipotizzato un malfunzionamento dei macchinari, bottiglie sporche o contaminazione di orzo e luppolo.

Altri studi hanno inoltre dimostrato la presenza di MP nell’acqua minerale in bottiglie di plastica PET riutilizzabili: queste MP derivano dalla confezione e, ad ogni utilizzo si assumono dalle 2 alle 241 particelle di plastica per litro. Neppure l’acqua di rubinetto si salva. Infatti nel 2017 è stata condotta un’indagine dall’organizzazione giornalistica no-profit Orb Media con la collaborazione della State University di New York e l’Università del Minnesota sull’acqua dei rubinetti domestici di tutto il mondo, testando 159 campioni di acqua potabile di città grandi e piccole.

L’83% dei campioni contiene fibre di MP. Come accennato nel primo paragrafo, molte MP provengono anche dall’aria che, viaggiando senza barriere, possono contaminare le sorgenti idriche. Un’altra fonte di contaminazione dell’acqua di rubinetto sono alcune condutture realizzate in materiali plastici, assieme all’inefficienza dei sistemi di filtraggio che non riescono a trattenere le MP.

Tuttavia l’acqua in bottiglia contiene circa il doppio di MP per litro rispetto a quella di rubinetto. Risale ad ottobre 2018 la notizia del ritrovamento, per la prima volta, di MP nelle feci di più del 50% degli esseri umani nel mondo, una stima spaventosa. Lo studio, in attesa di pubblicazione e presentato il 23/10/2018 al Congresso Europeo di Gastroenterologia di Vienna, è stato condotto dai ricercatori dell’Università di Vienna in collaborazione con l’agenzia per l’ambiente austriaca. Le particelle di MP ritrovate nell’intestino dei partecipanti allo studio hanno dimensioni variabili da 5-500µm e potrebbero pertanto entrare nel torrente ematico e raggiungere organi quali il fegato. Tra i materiali individuati il PET delle bottiglie di plastica e degli imballaggi monouso.

Quali provvedimenti sono stati presi e cosa possiamo fare noi

Con la crescente consapevolezza dell’impatto negativo delle MP sull’ambiente e sugli esseri umani, diversi sono i gruppi nel mondo che hanno finanziato campagne per la rimozione di MP da svariati prodotti di uso quotidiano. Tra queste, la campagna “Beat the Microbeads” che ha lo scopo di promuovere la rimozione degli scrubbers e dei granuli nei prodotti cosmetici.

The Adventurers ans Scientists for Conservation è un’organizzazione no-profit del Montana (USA) che gestisce la Global Microplastics Initiative, un progetto che si occupa della raccolta di campioni di acqua per fornire agli scienziati dati sempre più numerosi e precisi sulla dispersione delle MP nell’ambiente. Anche l’UNESCO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura) ha sponsorizzato diversi progetti di ricerca sulla problematica transfrontaliera dell’inquinamento da MP. Negli USA, l’Illinois è il primo stato americano a vietare le MP nei cosmetici mentre nel 2015 il Presidente Obama ha firmato il “Microbeads Free Waters Act, entrato in vigore nel luglio 2017, che vieta i prodotti esfolianti e il loro risciacquo.

Tale divieto non è però esteso ai prodotti per la casa. Sempre nel luglio 2018, la Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti ha approvato un emendamento sulla riduzione delle MP per combattere l’inquinamento marino, del terreno e dei grandi laghi e aumentare i test di monitoraggio, la pulizia e l’educazione. L’attuale Presidente Trump ha firmato la riattivazione di tale proposta. Anche il governo giapponese, su proposta del Ministero dell’Ambiente nel giugno del 2018, ha approvato per la prima volta una proposta di legge per ridurre la produzione di MP incrementando l’istruzione e la consapevolezza del pubblico sul corretto riciclo dei rifiuti.

È stata pubblicata una serie di raccomandazioni sui metodi per monitorare la quantità di MP negli oceani ma non viene specificata alcuna sanzione per le industrie che continuano a produrre prodotti con MP. Il Regno Unito nel 2017 ha approvato la legge “Environmental Protection Microbeads Regulation” che vieta la produzione di qualsiasi prodotto contenete microperle ed esfolianti, con pene specifiche per i trasgressori.

Infine, nel 2015 il Parlamento Europeo ha votato a favore di una restrizione sull’uso dei sacchetti di plastica e, a settembre del 2018, gli eurodeputati hanno approvato una manovra contro le plastiche per aumentare il loro riciclo nell’UE. È stato inoltre richiesta l’attuazione in tutta Europa del divieto di aggiungere le MP nei prodotti cosmetici e nei detergenti entro il 2020 e l’adozione di misure volte a minimizzare il rilascio di MP dai tessuti, dagli pneumatici, dalle vernici e da altri materiali inquinanti. In ottobre il parlamento ha approvato il divieto in tutto il territorio europeo dell’uso di alcuni prodotti di plastica usa e getta trovati in abbondanza nei mari e per i quali sono già disponibili alternative non di plastica.

Entro il 2019 pertanto si dirà addio a cannucce, piatti, posate e cotton fioc di plastica che verranno sostituiti da prodotti in materiali sostenibili. Per quanto riguarda gli imballaggi e gli altri contenitori, i produttori dovranno limitarne la produzione e sarà necessaria una nuova etichettatura con istruzioni più precise sullo smaltimento. Sono stati vietati anche tutti i prodotti a base di plastiche ossi-degradabili, ovvero quelle comuni plastiche che tendono facilmente a rompersi in piccoli frammenti e che a causa degli additivi in esse contenuti non sono compostabili o degradabili.

Per quanto riguarda le azioni di noi cittadini, evitare le MP è ormai quasi impossibile dal momento che sono ubiquitarie ma, è fondamentale che ognuno rispetti le regole, il prossimo e soprattutto l’ambiente per migliorare la vita di tutti. Partendo dalla plastica di grandi dimensioni, come prima cosa è assolutamente vietato abbandonare qualsiasi tipo di rifiuto per terra: esistono gli appositi cestini e sono ovunque. In mancanza di essi si può sempre riporre la spazzatura in un sacchetto e gettarla appena possibile. Se notate un comportamento scorretto da parte di un altro cittadino, fateglielo notare.

Raccogliete i rifiuti abbandonati a terra anche se non sono vostri: la terra appartiene a tutti. Evitate, se possibile il consumo di alimenti pronti in confezioni o vaschette usa e getta e prediligete quelli in imballi di carta, cartone o tetra-pack. Quando vi recate ad un party non lanciate in cielo palloncini. Rispettate la raccolta differenziata e, in caso di dubbio, leggete le istruzioni riportate in etichetta.

Non abbandonate i rifiuti in giro se non sapete dove metterli o se i cassonetti sono pieni, altrimenti poi vi lamenterete dei topi in città e la colpa non è dei topi. Per quanto riguarda le MP, limitate il consumo di prodotti ittici quali tonno, pesce spada e molluschi: non eliminateli perché hanno moltissimi benefici sulla nostra salute. Acquistate prodotti ittici di qualità da pescatori o venditori fidati e nel caso chiedete che vengano rimosse le interiora.

Quando andate a fare la spesa, portate sempre con voi le vostre buste riutilizzabili. Evitate l’uso di posate e bicchieri di plastica e preferite quelli di carta o di legno; a fine giornata abbiate sempre cura di smaltirli correttamente. Al lavoro portatevi la vostra tazza in ceramica così eviterete di utilizzare ogni volta un nuovo bicchiere di plastica. Portatevi sempre dietro la vostra borraccia (magari priva di BPA se in plastica) invece di comprare acqua in bottiglia.

Quando cucinate degli alimenti, aspettate che si raffreddino prima di trasferirli in contenitori di plastica per evitare il rilascio di MP con le alte temperature. Non acquistate scrub o esfolianti a meno che non siano naturali ed evitate prodotti a base di glitter in quanto, anche se d’effetto, sono in PE o PET e si disperdono facilmente, oltre ad essere inalati. Quando possibile, utilizzate i mezzi pubblici, specie su rotaia, o la bici e controllate sempre che la pressione degli pneumatici della vostra macchina sia ai giusti livelli.

Comprate meno vestiti sintetici o, nel caso, è possibile inserire un filtro nella lavatrice che cattura le fibre sintetiche; in alternativa, infilatele in un sacchetto filtro specifico per lavatrice e, per quanto riguarda l’asciugatrice, abbiate sempre cura di pulire i filtri per eliminare la lanugine che si forma. Se non rispettiamo l’ambiente, non rispettiamo noi stessi e ne paghiamo le conseguenze.

Ogni plastica che produciamo, usiamo e alla fine abbandoniamo, intenzionalmente e non, alla fine ci ritorna indietro in modo invisibile e non controllabile, danneggiando l’ambiente e danneggiando noi stessi. Siamo ancora in tempo per salvare il nostro pianeta e per farlo bastano pochi, semplici gesti nella nostra quotidianità.

 

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